Lungo la costa degli etruschi
Nel villaggio si era estesa la calma con l’avvicinarsi della sera. Sui
tetti delle capanne poggiava la notte
proteggendo dall’umidità del bosco i piccoli tremolii umani per riportarli a
se, per liberarli da un pensiero inopportuno bloccato nella mente, impedendo di
dormire.
Il tintinnare sparso d’armature che venivano slacciate ed accantonate da
qualche soldato tornato dal campo si dava il cambio con caldi riflessi di fuoco,
evocando l’impressione di sprigionare misurate quantità di energia che raggiava
nello spazio circostante.
Non voleva combattere, pensò, mentre si avviava sulla strada che portava
alle fabbriche di ferro. Suoni viscerosi si mischiavano con qualche urlo umano
di chi ci lavorava, a turni la fabbrica produceva ininterrottamente, come fosse
animata da qualche forza sovraumana, instancabile ed indistruttibile, nemmeno
da un forte rovescio di fine estate, capace di riempire le tombe piene d’acqua
e renderle inaccessibili, capace di fondere le pietre in magma, a sfondare
l’Isola e a creare una concentrazione di forza come un fulmine o l’eruzione di
un vulcano.
Io mi dilato.
Più in alto, sento il fresco del bosco. Sia i funghi che il muschio
approfittano dell’umidità e l’ombra concessa dagli alberi.
Il muschio ama coprire le pietre levigate delle tombe; a sua volta è
coperto di minuscole gocce; sembra spugna sazia nell’assorbire l’acqua
dell’atmosfera.
Cerca una tomba particolarmente profonda. Accarezza il muschio. Scende gli
scalini e ci si sdraia proprio di fronte. Chiude un attimo gli occhi, poi li
riapre e vede. L’ombra della sera si allunga su di me, superandomi,
avvolgendomi per un istante in una sensazione di pace.
Poi gli passa sopra alla testa; ora sa che non contano più i dadi. Si è
fatto sera.
Prende la statuina di ferro e con il piedistallo incomincia a scavare nella
terra morbida e scura. La stringe nelle mani per salutarla e ce la poggia
dentro, ricoprendola con la terra. Rimonta i gradini e arrivato ad una radura
si accorge del mare, rude increspato dal vento, onde che sembrano costruzioni
naturali e dall’orizzonte si avvicina a tutta velocità, come se avesse qualcosa
da perdere, una nave diretta verso il porto.
Settembre 2002- Baratti/ Genova
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