Wednesday 23 October 2013

L'ombra della sera



                          L’ombra della sera
                                                 




Lungo la  costa degli etruschi



Nel villaggio si era estesa la calma con l’avvicinarsi della sera. Sui tetti delle capanne  poggiava la notte proteggendo dall’umidità del bosco i piccoli tremolii umani per riportarli a se, per liberarli da un pensiero inopportuno bloccato nella mente, impedendo di dormire.
Il tintinnare sparso d’armature che venivano slacciate ed accantonate da qualche soldato tornato dal campo si dava il cambio con caldi riflessi di fuoco, evocando l’impressione di sprigionare misurate quantità di energia che raggiava nello spazio circostante.
Non voleva combattere, pensò, mentre si avviava sulla strada che portava alle fabbriche di ferro. Suoni viscerosi si mischiavano con qualche urlo umano di chi ci lavorava, a turni la fabbrica produceva ininterrottamente, come fosse animata da qualche forza sovraumana, instancabile ed indistruttibile, nemmeno da un forte rovescio di fine estate, capace di riempire le tombe piene d’acqua e renderle inaccessibili, capace di fondere le pietre in magma, a sfondare l’Isola e a creare una concentrazione di forza come un fulmine o l’eruzione di un vulcano.
Io mi dilato.
Più in alto, sento il fresco del bosco. Sia i funghi che il muschio approfittano dell’umidità e l’ombra concessa dagli alberi.
Il muschio ama coprire le pietre levigate delle tombe; a sua volta è coperto di minuscole gocce; sembra spugna sazia nell’assorbire l’acqua dell’atmosfera.
Cerca una tomba particolarmente profonda. Accarezza il muschio. Scende gli scalini e ci si sdraia proprio di fronte. Chiude un attimo gli occhi, poi li riapre e vede. L’ombra della sera si allunga su di me, superandomi, avvolgendomi per un istante in una sensazione di pace.
Poi gli passa sopra alla testa; ora sa che non contano più i dadi. Si è fatto sera.
Prende la statuina di ferro e con il piedistallo incomincia a scavare nella terra morbida e scura. La stringe nelle mani per salutarla e ce la poggia dentro, ricoprendola con la terra. Rimonta i gradini e arrivato ad una radura si accorge del mare, rude increspato dal vento, onde che sembrano costruzioni naturali e dall’orizzonte si avvicina a tutta velocità, come se avesse qualcosa da perdere, una nave diretta verso il porto.

Settembre 2002- Baratti/ Genova


(C) Marco Grosse


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